Il Giappone ha un problema coi simboli nazisti?

Vengono utilizzati con una disinvoltura impensabile in Occidente, per motivi legati a una sensibilità storica diversa dalla nostra

Un'immagine promozionale del locale “Unfair” diffusa prima che chiudesse
Un'immagine promozionale del locale “Unfair” diffusa prima che chiudesse

In Giappone non è raro che emergano casi in cui la simbologia nazista viene utilizzata con una certa leggerezza in alcuni contesti pubblici. Se n’è parlato di recente, di nuovo, dopo che a ottobre in un quartiere alla moda di Osaka aveva aperto un locale che nella propria insegna aveva una svastica nazista. I baristi e i camerieri maschi avevano invece come uniforme quella delle SS (Schutzstaffel, il corpo paramilitare nazista). L’idea è stata molto criticata e il locale, che si chiamava “Unfair”, ha chiuso quasi subito, con tanto di scuse da parte dei gestori.

Un altro caso ci fu nel 2016, quando la girl-band Keyakizaka46 si esibì indossando mantelli neri e divise molto simili a quelle delle SS. E anche quella volta ci furono scuse pubbliche, da parte della casa discografica Sony Music che giustificò l’accaduto parlando di «mancanza di conoscenza».

Come ha raccontato BBC Mundo, il motivo principale per cui avvengono casi come questo sembra proprio legato alla percezione che c’è in Giappone del nazismo come fenomeno storico, piuttosto diversa da quella che si ha in Europa e negli Stati Uniti.

In sostanza, nella cultura giapponese la simbologia e l’estetica nazista non si portano dietro lo stesso stigma che hanno in Occidente. E nella nicchia degli appassionati di anime e manga vengono anche utilizzati per i cosplay, cioè la pratica di vestirsi imitando personaggi di fumetti e di film di animazione.

Secondo l’antropologa polacca Aleksandra Jaworowicz-Zimny, che ha studiato per un periodo all’Università di Hokkaido, il motivo per cui i simboli nazisti vengono utilizzati con frequenza e leggerezza in Giappone non ha nulla di politico. Non c’è nel paese una simpatia o una vicinanza particolare a quella che era l’ideologia nazista, ma c’è invece una «mancanza di sensibilità storica».

«Molti giapponesi sanno che i nazisti hanno commesso crimini di guerra, ma la loro conoscenza è limitata», spiega Jaworowicz-Zimny. «Visivamente, riconoscono le uniformi nere delle SS, specialmente con la fascia rossa al braccio, ma non tutte le uniformi della Wehrmacht [l’esercito nazista] sono per loro un segnale di allarme». Inoltre, gran parte dei giapponesi non ha una conoscenza approfondita di ciò che fu l’Olocausto, anche perché non conosce persone che ne hanno avuto esperienza diretta o indiretta.

«La società giapponese non ha l’Olocausto inciso nella memoria collettiva come gli europei e gli americani» dice Jaworowicz-Zimny. «Non ha nonni che sono stati torturati o uccisi dai nazisti, né monumenti che commemorano i crimini nazisti in ogni città». Il nazismo, che in Europa è forse la parte della storia contemporanea più ricostruita e raccontata, per i giapponesi è qualcosa di lontano, di cui hanno nozione soprattutto attraverso la cultura pop occidentale per via di film come Bastardi senza gloria o videogiochi come Wolfenstein

Ci sono poi altri fattori che contribuiscono all’uso frequente della simbologia nazista. Innanzitutto il fenomeno – diffuso non solo in Giappone – del cosiddetto “nazi chic”, che consiste nel vestirsi con l’uniforme nazista, adottandone i simboli, semplicemente per il suo impatto estetico e visuale, e anche per la sua capacità di destare scandalo. In altre parole, qualcosa di simile al cosplay, ma in un contesto diverso rispetto a quello delle fiere per appassionati di fumetti.

Il concerto delle Keyakizaka46, secondo Jaworowicz-Zimny, fa parte di questo fenomeno, che esiste da tempo in varie forme e che nella cultura giapponese si manifesta per esempio in alcuni manga come nel recente Tokyo Revengers, in cui i protagonisti compaiono vestiti di nero e con un simbolo che ricorda la svastica sul braccio. 

Un’immagine tratta da “Tokyo Revenger”

In realtà quel simbolo non si riferisce esplicitamente alla svastica nazista, bensì al manji, cioè il simbolo buddista dalla storia millenaria che è presente su molti templi giapponesi e sulle mappe per indicarne la collocazione. Il confine tra richiamo al nazismo e utilizzo della tradizionale iconografia buddista è sottile e ambiguo, motivo per cui in Occidente può essere confuso facilmente. La versione inglese dell’anime è stata quindi modificata e il manji non compare (tra l’altro il manji è presente anche nelle versioni giapponesi di anime celebri come NarutoOne Piece).

Mario Marcello Neto, ricercatore brasiliano ed esperto di storia giapponese, evidenzia anche un ulteriore aspetto della cultura del paese che contribuisce alla disinvoltura con cui si fa uso della simbologia nazista: secondo Neto, la rielaborazione storica del Giappone si è concentrata molto sulle bombe atomiche statunitensi, e poco sui crimini di guerra commessi durante la Seconda guerra mondiale dai nazisti, all’epoca alleati del Giappone: «Molte volte si preferisce non parlare di crimini di guerra: è un vespaio che nessuno vuole toccare. È ancora un argomento tabù».

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